Argomento quotidiano, dibattuto, conteso, per essere eretto o demolito. Eppure, per sostenerlo adeguatamente, manca qualcosa, anzi secondo me manca molto. Non basta se resta solo, e da solo cade.
Furono per prime le coccarde tricolori francesi a portare a Roma l’idea di una possibile Repubblica laica. Ma, troppo avanzata per luogo e tempo, fu respinta dai conservatori e fallì. Il concetto della laicità non venne da solo. Fu introdotto assieme a tutto il complesso delle idee illuministiche e rivoluzionarie, si trovava dentro ad un contesto ideale, politico e sociale ben più ampio e corposo.
Ritornò alla ribalta con il Risorgimento italiano, assieme al liberalismo ottocentesco e alle ambizioni unificatrici di Cavour e dei Savoia. Anche in quel caso la famosa frase della “libera Chiesa in libero Stato” non si alimentava da sola: c’era un nuovo progetto di Stato e di rapporti con la religione.
Ci sono stati anche esempi di usi strumentali dell’argomento. Ritengo che almeno uno di questi, forse il più famoso, fu la Kulturkampf di Bismarck, offensiva lanciata contro il partito cattolico che si spense in poco tempo e fu tramutata in offensiva anti-socialista. Infatti serviva solo a togliere di mezzo i partiti di massa.
Lo spettro del comunismo che agitò l’Europa e poi il mondo conteneva anch’esso in sé l’elemento della laicità, spingendosi anche oltre nella sua denuncia dell’”oppio dei popoli”. Andò peggio in quei casi dove, in situazioni di assenza di garanzie e di diritti fondamentali, e in presenza di regimi totalitari, una certa pretesa laicità si tramutò in anticlericalismo e in offensiva politica anti-religiosa. In altri casi si è tramutata in anticlericalismo di maniera, scarsamente dotato di strumenti di analisi e di dialettica per poter sostenere un vero confronto.
Meno pesanti, ma ugualmente forti, furono i contenuti di laicità espressi nei movimenti e nelle idee di quella “Italia di minoranza” (per citare l’omonimo libro di Spadolini) che ha sempre trovato difficoltà ad emergere, stretta tra i due partiti-chiesa del secondo dopoguerra. Repubblicani e socialdemocratici anzitutto, hanno sempre dichiarato come loro elemento costitutivo la laicità. Ripresa poi in forma movimentista dai radicali, ai quali va il merito di averla sostenuta in questi ultimi 40 anni anche attraverso i referendum.
Fatti rilevanti, esempi citati qui come spunto per affrontare la questione attuale della laicità, attraverso alcune riflessioni, anche volutamente provocatorie.
Gli esempi fatti precedentemente possono essere utili: i tentativi compiuti sono stati condotti da forze ideali, sociali e persino militari di grande spessore. Vi furono successi e fallimenti, ma sempre sulla strada del processo di secolarizzazione della società. L’impulso servì per rimettere in discussione un potere concepito in senso totalitario e assoluto, per far cadere, per dirla con Gramsci, l’idea che la Chiesa fosse “premessa necessaria e universale di ogni modo di pensare e operare”. L’offensiva, illuminista prima, liberale e marxista poi, condusse il Vaticano ad una posizione inizialmente difensiva, che nella seconda metà dell’Ottocento si concretizzò con la perdita del potere temporale, e sul finire del secolo con la necessità di creare e/o potenziare le strutture di base e l’associazionismo cattolico, per recuperare potere politico. La seconda novità dunque, novità che ci siamo portati dietro fino ad oggi, fu quella della necessità di creare un proprio partito e un proprio sindacato per rappresentare gli interessi dei cattolici.
Questa fase difensiva, chiaramente intesa come difesa attiva di riorganizzazione, si è trasformata prima in controffensiva tattica e poi in vittoria strategica quando, a seconda dei momenti storici e delle elite dominanti, c’è stato l’appoggio ideologico e sostanziale da parte di attori politici che si facevano interpreti delle istanze cattoliche.
La rappresentanza politica del cattolicesimo si è frammentata dal 1992, è diffusa e trasversale. La diaspora è iniziata circa 16 anni fa, ma assistiamo spesso a tentativi di “ritorno a Sion”. Questa frammentazione simile ad un esilio, in parte spontaneo in parte forzato, costituisce elemento di vantaggio e di svantaggio al tempo stesso. Svantaggio se lo riferiamo alla costruzione di un’agenda politica unitaria cattolica, alla maniera del Partito Popolare di Sturzo o della Democrazia Cristiana di De Gasperi. Vantaggio se consideriamo il riposizionamento diffuso dei cattolici negli schieramenti, quasi a riproporre la parabola del seminatore (Mt 13,18-23; Mc 4,13-20; Lc 8,11-15), o la ben più cruciale diatriba tra Giacomo e Paolo nella Gerusalemme della metà del I sec. d.C.: schematizzando, il primo sosteneva la difesa di un’ortodossia giudaico-cristiana autoconservativa, limitata al territorio di Israele; il secondo intuì la portata universale del messaggio cristiano e pensò di diffonderlo nel mondo.
Appoggiati dal Vaticano, e in assenza di “avversari” feroci e temibili, liquidate le esperienze socialiste e comuniste, l’attività culturale e politica cattolica è ancor meglio facilitata nel suo svolgimento.
L’impegno quotidiano pare riprendere i filoni conduttori (riveduti e corretti) del Sillabo (1864!), per sostenere le lotte che restano da portare avanti, secondo l’elenco fatto allora.
Resta ancora in piedi un capitalismo che mostra i suoi lati più negativi: lusso, sprechi e vanità da contestare alla maniera dei profeti (per esempio Ez 7,20; Is 1,22-23 e 41,21-29; Dan 3,17; Os 13,2; Mi 5,13), in favore della vecchia idea dettata dalla dottrina sociale della Chiesa (che in passato si è espressa con il corporativismo, anche nell’ era fascista): un sistema sociale ed economico armonico, interclassista, dove prevale la ricomposizione del conflitto sociale e il ricorso alla spesa pubblica come strumento assistenziale di caritas cristiana. Caritas anche con la “C” maiuscola, come possiamo vedere nella nostra città, che controlla il sistema dei servizi sociali.
Sul piano culturale si osserva la pressione in sfavore della scuola pubblica, della libertà e della laicità dell’insegnamento. Non restano certamente esenti dalla battaglia culturale gli ambienti esterni alla scuola. Al di fuori della scuola (ma anche al suo interno?) esiste ed è operante una massiccia operazione di aggressione e rilettura della storia antica e di quella più recente. Basti pensare alla ricerca spasmodica e martellante delle ritrovate “radici giudaico-cristiane” dell’Europa, o alla rimessa in discussione dell’antifascismo, o alla venerazione di paladini della cristianità come i prelati franchisti in Spagna.
Sul piano etico si dice ancora no alla libertà di coscienza, di scelte di vita, di orientamento sessuale, di ricerca scientifica. L’obiettivo è rimettere in discussione l’impianto di diritti e garanzie ottenute negli ultimi 40 anni, sempre migliorabili, per smantellare le leggi sull’aborto, il divorzio, e la parità uomo-donna.
Non tutti i cattolici sono così, si potrebbe obiettare. Ed è vero. Ma non appena si tratta di affrontare questi argomenti, non appena il pontefice tuona dal balcone di S. Pietro, ecco che i membri della diaspora riaffiorano dalle nebbie, si ricompattano, si riconoscono facenti parte di un unica Sacra Famiglia, e inizia il viavai di politici oltre Tevere, a rendere omaggio e a chiedere scusa al papa.
C’è o ci sarà una Sion per essi? Le grandi manovre al centro, politiche e culturali, sono solo tattica e diversivi oppure esiste una strategia comune, o meglio dire una tendenza che socialmente e storicamente si ripropone come consolidata?
Nel chiedersi se esiste un programma cattolico, si deve rispondere ora che ci sono tratti distintivi e caratteristici di una identità politica che per adesso non si è ancora ritrovata....ma dopo la morte c’è una resurrezione, e forse in molti sono ad aspettare una nuova pesca fruttuosa nel lago di Tiberiade (Gv 21,1-23).
Concluderei con queste argomentazioni: anzitutto, se vogliamo che la laicità abbia una possibilità di vita e di vittoria in questo confronto-scontro culturale, allora la dobbiamo legare a qualcosa di più grande: un nuovo progetto sociale e culturale entro cui inserire anche questo tema. Verrebbe quasi da dire un nuovo “pensiero forte” che contenga in sé anche la laicità, perché da sola contro il “pensiero forte” clericale ha poca speranza. In secondo luogo, la laicità dello Stato non riguarda esclusivamente il terreno delle idee e dei valori, ma deve fare i conti con le condizioni sociali e culturali (materiali, si sarebbe detto una volta) entro cui viene dichiarata e sostenuta. Un principio, un valore o un’idea hanno la possibilità di affermarsi solo se: 1- sono contenuti in un progetto più ampio di rinnovamento sociale su vasta scala; 2- vi sono gruppi sociali che lo sostengono e che si confrontano con altri che lo avversano; 3- si creano le condizioni per il raggiungimento dell’obiettivo. Si tratta oggi di conoscere il terreno di confronto e gli “avversari”, per fare una valutazione delle capacità di elaborazione e di risposta. Risposta e progetto complessivo che oggi mancano. Al lavoro, allora, perché siamo in ritardo.
Furono per prime le coccarde tricolori francesi a portare a Roma l’idea di una possibile Repubblica laica. Ma, troppo avanzata per luogo e tempo, fu respinta dai conservatori e fallì. Il concetto della laicità non venne da solo. Fu introdotto assieme a tutto il complesso delle idee illuministiche e rivoluzionarie, si trovava dentro ad un contesto ideale, politico e sociale ben più ampio e corposo.
Ritornò alla ribalta con il Risorgimento italiano, assieme al liberalismo ottocentesco e alle ambizioni unificatrici di Cavour e dei Savoia. Anche in quel caso la famosa frase della “libera Chiesa in libero Stato” non si alimentava da sola: c’era un nuovo progetto di Stato e di rapporti con la religione.
Ci sono stati anche esempi di usi strumentali dell’argomento. Ritengo che almeno uno di questi, forse il più famoso, fu la Kulturkampf di Bismarck, offensiva lanciata contro il partito cattolico che si spense in poco tempo e fu tramutata in offensiva anti-socialista. Infatti serviva solo a togliere di mezzo i partiti di massa.
Lo spettro del comunismo che agitò l’Europa e poi il mondo conteneva anch’esso in sé l’elemento della laicità, spingendosi anche oltre nella sua denuncia dell’”oppio dei popoli”. Andò peggio in quei casi dove, in situazioni di assenza di garanzie e di diritti fondamentali, e in presenza di regimi totalitari, una certa pretesa laicità si tramutò in anticlericalismo e in offensiva politica anti-religiosa. In altri casi si è tramutata in anticlericalismo di maniera, scarsamente dotato di strumenti di analisi e di dialettica per poter sostenere un vero confronto.
Meno pesanti, ma ugualmente forti, furono i contenuti di laicità espressi nei movimenti e nelle idee di quella “Italia di minoranza” (per citare l’omonimo libro di Spadolini) che ha sempre trovato difficoltà ad emergere, stretta tra i due partiti-chiesa del secondo dopoguerra. Repubblicani e socialdemocratici anzitutto, hanno sempre dichiarato come loro elemento costitutivo la laicità. Ripresa poi in forma movimentista dai radicali, ai quali va il merito di averla sostenuta in questi ultimi 40 anni anche attraverso i referendum.
Fatti rilevanti, esempi citati qui come spunto per affrontare la questione attuale della laicità, attraverso alcune riflessioni, anche volutamente provocatorie.
Gli esempi fatti precedentemente possono essere utili: i tentativi compiuti sono stati condotti da forze ideali, sociali e persino militari di grande spessore. Vi furono successi e fallimenti, ma sempre sulla strada del processo di secolarizzazione della società. L’impulso servì per rimettere in discussione un potere concepito in senso totalitario e assoluto, per far cadere, per dirla con Gramsci, l’idea che la Chiesa fosse “premessa necessaria e universale di ogni modo di pensare e operare”. L’offensiva, illuminista prima, liberale e marxista poi, condusse il Vaticano ad una posizione inizialmente difensiva, che nella seconda metà dell’Ottocento si concretizzò con la perdita del potere temporale, e sul finire del secolo con la necessità di creare e/o potenziare le strutture di base e l’associazionismo cattolico, per recuperare potere politico. La seconda novità dunque, novità che ci siamo portati dietro fino ad oggi, fu quella della necessità di creare un proprio partito e un proprio sindacato per rappresentare gli interessi dei cattolici.
Questa fase difensiva, chiaramente intesa come difesa attiva di riorganizzazione, si è trasformata prima in controffensiva tattica e poi in vittoria strategica quando, a seconda dei momenti storici e delle elite dominanti, c’è stato l’appoggio ideologico e sostanziale da parte di attori politici che si facevano interpreti delle istanze cattoliche.
La rappresentanza politica del cattolicesimo si è frammentata dal 1992, è diffusa e trasversale. La diaspora è iniziata circa 16 anni fa, ma assistiamo spesso a tentativi di “ritorno a Sion”. Questa frammentazione simile ad un esilio, in parte spontaneo in parte forzato, costituisce elemento di vantaggio e di svantaggio al tempo stesso. Svantaggio se lo riferiamo alla costruzione di un’agenda politica unitaria cattolica, alla maniera del Partito Popolare di Sturzo o della Democrazia Cristiana di De Gasperi. Vantaggio se consideriamo il riposizionamento diffuso dei cattolici negli schieramenti, quasi a riproporre la parabola del seminatore (Mt 13,18-23; Mc 4,13-20; Lc 8,11-15), o la ben più cruciale diatriba tra Giacomo e Paolo nella Gerusalemme della metà del I sec. d.C.: schematizzando, il primo sosteneva la difesa di un’ortodossia giudaico-cristiana autoconservativa, limitata al territorio di Israele; il secondo intuì la portata universale del messaggio cristiano e pensò di diffonderlo nel mondo.
Appoggiati dal Vaticano, e in assenza di “avversari” feroci e temibili, liquidate le esperienze socialiste e comuniste, l’attività culturale e politica cattolica è ancor meglio facilitata nel suo svolgimento.
L’impegno quotidiano pare riprendere i filoni conduttori (riveduti e corretti) del Sillabo (1864!), per sostenere le lotte che restano da portare avanti, secondo l’elenco fatto allora.
Resta ancora in piedi un capitalismo che mostra i suoi lati più negativi: lusso, sprechi e vanità da contestare alla maniera dei profeti (per esempio Ez 7,20; Is 1,22-23 e 41,21-29; Dan 3,17; Os 13,2; Mi 5,13), in favore della vecchia idea dettata dalla dottrina sociale della Chiesa (che in passato si è espressa con il corporativismo, anche nell’ era fascista): un sistema sociale ed economico armonico, interclassista, dove prevale la ricomposizione del conflitto sociale e il ricorso alla spesa pubblica come strumento assistenziale di caritas cristiana. Caritas anche con la “C” maiuscola, come possiamo vedere nella nostra città, che controlla il sistema dei servizi sociali.
Sul piano culturale si osserva la pressione in sfavore della scuola pubblica, della libertà e della laicità dell’insegnamento. Non restano certamente esenti dalla battaglia culturale gli ambienti esterni alla scuola. Al di fuori della scuola (ma anche al suo interno?) esiste ed è operante una massiccia operazione di aggressione e rilettura della storia antica e di quella più recente. Basti pensare alla ricerca spasmodica e martellante delle ritrovate “radici giudaico-cristiane” dell’Europa, o alla rimessa in discussione dell’antifascismo, o alla venerazione di paladini della cristianità come i prelati franchisti in Spagna.
Sul piano etico si dice ancora no alla libertà di coscienza, di scelte di vita, di orientamento sessuale, di ricerca scientifica. L’obiettivo è rimettere in discussione l’impianto di diritti e garanzie ottenute negli ultimi 40 anni, sempre migliorabili, per smantellare le leggi sull’aborto, il divorzio, e la parità uomo-donna.
Non tutti i cattolici sono così, si potrebbe obiettare. Ed è vero. Ma non appena si tratta di affrontare questi argomenti, non appena il pontefice tuona dal balcone di S. Pietro, ecco che i membri della diaspora riaffiorano dalle nebbie, si ricompattano, si riconoscono facenti parte di un unica Sacra Famiglia, e inizia il viavai di politici oltre Tevere, a rendere omaggio e a chiedere scusa al papa.
C’è o ci sarà una Sion per essi? Le grandi manovre al centro, politiche e culturali, sono solo tattica e diversivi oppure esiste una strategia comune, o meglio dire una tendenza che socialmente e storicamente si ripropone come consolidata?
Nel chiedersi se esiste un programma cattolico, si deve rispondere ora che ci sono tratti distintivi e caratteristici di una identità politica che per adesso non si è ancora ritrovata....ma dopo la morte c’è una resurrezione, e forse in molti sono ad aspettare una nuova pesca fruttuosa nel lago di Tiberiade (Gv 21,1-23).
Concluderei con queste argomentazioni: anzitutto, se vogliamo che la laicità abbia una possibilità di vita e di vittoria in questo confronto-scontro culturale, allora la dobbiamo legare a qualcosa di più grande: un nuovo progetto sociale e culturale entro cui inserire anche questo tema. Verrebbe quasi da dire un nuovo “pensiero forte” che contenga in sé anche la laicità, perché da sola contro il “pensiero forte” clericale ha poca speranza. In secondo luogo, la laicità dello Stato non riguarda esclusivamente il terreno delle idee e dei valori, ma deve fare i conti con le condizioni sociali e culturali (materiali, si sarebbe detto una volta) entro cui viene dichiarata e sostenuta. Un principio, un valore o un’idea hanno la possibilità di affermarsi solo se: 1- sono contenuti in un progetto più ampio di rinnovamento sociale su vasta scala; 2- vi sono gruppi sociali che lo sostengono e che si confrontano con altri che lo avversano; 3- si creano le condizioni per il raggiungimento dell’obiettivo. Si tratta oggi di conoscere il terreno di confronto e gli “avversari”, per fare una valutazione delle capacità di elaborazione e di risposta. Risposta e progetto complessivo che oggi mancano. Al lavoro, allora, perché siamo in ritardo.
Scritto da Riccardo Cammelli - SD Prato
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