venerdì 29 febbraio 2008

Sinistra Arcobaleno presenta la campagna elettorale



Questi sono i primi tre manifesti elettorali de la sinistra l’arcobaleno presentati ieri pomeriggio alla Citta’ del gusto.

Ambiente, salari e diritti sono i tre temi scelti, proposti cosi’: “Energia pulita o affari sporchi?”, “Aumentare i salari o aumentare i precari?”, “Libera scelta o diritti all’inferno?”, oltre all’ormai consolidato slogan “il 13 e il 14 aprile fai una scelta di parte”.

Illustrando la campagna elettorale, il candidato premier Fausto Bertinotti sottolinea che si tratta di un’idea “alternativa alla destra e significativamente diversa da quella del Pd”. La ragione e’ che “la politica non puo’ far finta che nel mondo c’e’ tutto e il contrario di tutto”. Bertinotti sottolinea poi che si tratta di una campagna “colorata” perche’ la politica non ha nessuna ragione per essere condannata al grigio, e puo’ essere divertente”. Le domande proposte sui manifesti impongono quindi “un’alternativa. Verificate- e’ l’invito del presidente della Camera- se sono alternative inventate o vere. E se sono vere stanno insieme? No, non si puo’ aumentare i salari e aumentare i precari”. Quindi quelli proposti da l’arcobaleno sono degli “o…o”, o per usare un termine kirkegardiano “aut aut”. Bertinotti lo spiega cosi’: “Le e…e e’ il piano della convivenza umana, e’ il vivere insieme tra uomini e donne, nativi e immigrati, gay e lesbiche, ma, valicato il piano umano, si entra nel campo della politica” e allora bisogna scegliere, “aut…aut…” che e’ elemento liberatorio: scegli liberamente- spiega Bertinotti- da che parte stare”. Il candidato premier ribadisce infine che il lato nero e’ il modello economico-sociale, che genera ingiustizia, illiberta’, rapina, e va messo in discussione”. Infine una citazione della Bibbia per concludere che: “Dopo il diluvio, c’e’ l’arcobaleno”. La campagna elettorale della sinistra, elaborata da Art Attack e Xister, si vuole caratterizzare come ecologica e utilizzera’ carta riciclata, palchi fotovoltaici e biciclette. Il sito ufficiale e’ www.sinistrarcobaleno.it e il canale e’ Ecotv.

martedì 26 febbraio 2008



lunedì 25 febbraio 2008

10 Buone ragioni per un voto utile, a SINISTRA

L'impressionante fuoco mediatico a favore di Veltroni e del PD non deve stupire più di tanto. Ci sono in questo fenomeno gli aspetti ridicoli e un po' mascalzoni del nostro giornalismo come testimonia (ma è solo un piccolo esempio) il titolo di un grande quotidiano che presenta Finocchiaro e Borsellino in Sicilia come un ticket del PD. Si tratta di un falso, ma tutto serve ad alimentare la batteria di fuoco pro PD. La RAI poi, meriterebbe da sola un capitolo a sé. C'è poi sicuramente l'interesse dei gruppi economici forti a sostenere ed ispirare un partito amico loro che viene non a caso presentato come l'unica scelta che può contare. E c'è anche però una lezione per noi ovvero, che la campagna elettorale si combatte subito, ogni giorno, con le proposte e con l'iniziativa serrata.
Non è più il tempo di limitarsi a dire "la sinistra e il PD non saranno fratelli coltelli". Adesso si compete, il tempo dei pranzi di gala è finito.Accanto alle proposte vere e proprie – che speriamo vivamente siano asciutte,e facilmente comprensibili – bisogna argomentare politicamente le ragioni del voto per la Sinistra Arcobaleno. Noi ne vediamo alcune chiarissime che vanno evidenziate adesso se non vogliamo inseguire gli argomenti altrui. La prima ragione è che il voto alla sinistra è utile perché è l'unico che garantisce alle donne che non si scambierà la loro libertà e dignità e il loro corpo con le diplomazie verso il Vaticano. Attenzione: nessuno dice che la legge 194 è da cambiare, ma il fatto è che la si vuole snaturare espropriando le donne della loro autonomia di scelta. Questa è la vera questione in gioco. Il PD dice che l'aborto va lasciato fuori dalla campagna elettorale perché non vuole spendersi fino in fondo a tutela dello stato di diritto e del compromesso tra stato e decisione della donna contenuto in quella legge. "Più rispetto delle donne, meno paura del vaticano".

La seconda ragione del voto utile riguarda la guerra: l'unica garanzia che L'Italia non parteciperà a dissennate azioni armate nei Balcani è il voto alla Sinistra. L'unica certezza che si cercherà una strada meno rovinosa per l'Afghanistan di quella di una azione militare che dopo sei anni palesemente non funziona è la scelta per la sinistra. "Meno guerra, più buona politica".

La terza buona ragione è il disarmo: l'Italia è al trentaduesimo posto per la ricerca scientifica e al quarto per spese pro capite per armi e difesa. Di fronte al riarmo impressionante in corso, di fronte all'evidenza che qui sta una delle radici dell'ineguaglianza spaventosa e dei pericoli per l'umanità, solo la sinistra prende impegni chiari. "Meno spese militari, più soldi alla scuola e alla ricerca".

Al quarto posto, non certo per importanza, sta il lavoro. Bene che se ne torni a parlare, dice Epifani. Ma, impresa e lavoro sono uguali? La Sinistra pensa di no e sceglie: per un paese più giusto e moderno bisogna ridare riconoscimento e dignità al lavoro. Prima o poi lo spieghiamo a un dibattito televisivo che se i salari non sono stati al centro della politica del Governo Prodi, benché la Sinistra lo chiedesse, è perché non hanno voluto Padoa Schioppa e i veti del PD? I co.co.co. e i co.co.pro. sono in gran parte lavoratori dipendenti mascherati e questo imbroglio lo conoscono tutti. Il PD propone ora di dargli un salario minimo, ma non di superare l'imbroglio. Non sarà più riformista svelare l'inganno e cambiare quelle norme della legge 30, operazione che non costa ai contribuenti, ma chiede alle imprese quella responsabilità sociale che dopo anni di crescita dei profitti è il minimo che si può chiedere? La redistribuzione così non avverrebbe solo a spese dello Stato (con il calo delle tasse sul lavoro), ma con una divisione dei benefici della produttività più equa. "Più diritti e salari, meno sconti a tutte le imprese"

Quinto. A proposito di redistribuzione bisogna chiedere una tassazione più giusta, anzitutto delle rendite. E poi, visto che la ricchezza si può ripartire verso il basso attraverso salari, pensioni e servizi bisogna necessariamente rafforzare lo Stato sociale in controtendenza con lo svuotamento perseguito in questi anni. Un asilo nido è indispensabile quanto un pronto soccorso, l'immigrazione è essenziale per il funzionamento del nostro sistema, e la politica per sostenere la non autosufficienza, per assicurare alle donne la libertà di lavorare non si risolve con un bonus in denaro, ma contando su una rete di servizi forti e di qualità: qui c'è il pilastro di una maggiore giustizia sociale e di un progresso economico. Quando Veltroni dice che si devono tagliare tre punti di spesa pubblica cosa accadrà per sanità e servizi? Il voto alla sinistra è l'unica garanzia che si vada verso il rafforzamento del welfare. "Più Stato Sociale, meno regali alle rendite".

Sesto. L'ambientalismo del "si" proposto da Veltroni è speculare a quello del "no": li non va bene niente, qui va bene tutto. Invece ci vuole l'ambientalismo della qualità. La garanzia sta nella sinistra arcobaleno che non deve rendere conto ai grandi interessi economici, ma tiene a cuore i beni comuni. "Più qualità allo sviluppo. "Meno scempio di risorse e territorio".

Settimo. In Italia, la libertà di divorziare senza attendere troppi anni, i diritti degli omosessuali, il testamento biologico, il rifiuto del modello unico di famiglia, la garanzia, come accade in Europa, che uno stato paternalista non decida al posto nostro, sta solo a sinistra. "Più libertà per le persone, meno ipocrisie conservatrici".

Ottavo. Il conflitto d'interessi non ha trovato ancora soluzione. La volta scorsa, perché D'Alema diceva che Berlusconi si sconfigge politicamente, più recentemente invece, perché c'era da fare, insieme a Forza Italia, la legge elettorale bipartitica. Anche qui, il voto a sinistra è l'unica speranza. Infatti chi ragiona in termini di potenza sostenendo che le armate televisive di Berlusconi non si possono toccare ed è meglio venire a patti chiedendo spazi a Mediaset, non ragiona in termini liberali. La sinistra in Italia è più liberale dei democratici. "Più soggetti televisivi, meno favori a Mediaset".
La nona ragione è la questione morale. Non c'è legalità, nè lotta alla mafia se non si moralizzano vita pubblica e partiti. E non ci pare che il problema sia solo dalle parti di Ceppaloni. Qui ci vuole coraggio: avanti con la legge per liberare le nomine in sanità dalla pressione politica, abolizione degli enti e società nate ad uso del potere, restrizione degli emolumenti agli eletti, passi indietro dalle giunte impresentabili. Quella della questione morale è una sfida difficile, ma è quella vitale. " Più politica nella società, meno partiti nelle nomine"

Ed infine la politica-politica: chi non desidera che il PD si butti nella grande coalizione ha un solo sistema per scongiurarlo, far arrivare tanti voti alla sinistra.

Una postilla sul '68. A parte che il 6 politico non data a quell'anno, molti elettori ricordano cosa era l'Italia prima di quel grande cambiamento: provinciale, ottusa verso le donne, con le classi differenziali nella scuola pubblica... anche in questo caso i liberali e i progressisti stanno più a casa nostra che dalle parti del Loft. Voler essere insieme Sarkozì, Obama, Zapatero va bene forse per gli spot, un po' meno per la realtà vera delle cose e delle persone e per questa Italia bisognosa di una svolta di giustizia, libertà e civiltà.

Gloria Buffo e Marisa Nicchi*
Parlamentari di SD

martedì 19 febbraio 2008

Politiche Bioetiche fra natura e libertà

di Filippo Magni*
Legge 194 e dintorni. È quasi banale constatare come il liberalismo venga predicato tanto ma praticato poco proprio là dove servirebbe di più. Visti i tempi è probabile che anche per il futuro ci sia da attendere qualcosa di buono più dalla magistratura che dalla politica. L'offensiva di stampa contro la legge sull'aborto degli ultimi tempi ne è un segnale significativo. Peggio ancora, probabilmente, sarà nella campagna elettorale
Non è una novità che nella vita civile di un paese possono accadere cose che vanno in una direzione contraria. Né è una novità che accadano in Italia in relazione a questioni che riguardano le tecniche di intervento sulla vita umana.
Da una parte il provvedimento della Giunta regionale della Lombardia che riduce il termine per praticare l'aborto terapeutico negli ospedali della regione da 24 a 22 settimane e 3 giorni. La legge 194 prevede che l'aborto terapeutico (l'aborto nei casi in cui è in pericolo la vita della madre) sia praticabile oltre i 90 giorni (termine fissato per l'aborto volontario) ma senza precisare un limite. Quello assunto dai medici è la 24° settimana, perché intorno a questo periodo il feto acquista la capacità di vita autonoma. Il provvedimento della Giunta Formigoni viene giustificato col fatto che gli sviluppi delle tecniche di sostegno vitale consentono di abbassare la soglia della capacità di vita autonoma. (Sulla stessa linea i direttori delle cliniche ginecologiche romane rivendicano l'obbligo professionale di rianimare un feto nato vivo da un aborto terapeutico, anche contro la volontà della madre e il rischio di gravi malformazione del futuro bambino).
Dall'altra, la sentenza del Tar del Lazio che ha considerato illegittime le linee guida ministeriali che accompagnano la legge 40 sulla procreazione assistita e ha posto il problema della legittimità costituzionale della legge. Le linee guida rendono più restrittivo il contenuto di una legge già molto restrittiva, non consentendo la diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni che verranno impiantati nell'utero della madre e prevedendo l'obbligo di trasferimento in utero di tutti gli embrioni prodotti dalla tecnica di fecondazione assistita (ridotti dalla legge a 3), al fine di evitare la loro crioconservazione e quindi l'utilizzo a scopi di ricerca. Il fine in entrambi i casi è quello di evitare l'aborto selettivo degli embrioni prodotti (o perché geneticamente malati o perché destinati alla ricerca). La sentenza del Tar richiede ora nuove linee Guida; il ministro Turco le stava predisponendo.Visti i tempi è probabile che anche per il futuro ci sia da attendere qualcosa di buono più dalla magistratura che dalla politica. Più che una previsione è un timore, ma pare fondato. L'offensiva di stampa contro la legge sull'aborto degli ultimi tempi ne è un segnale significativo. Peggio ancora, probabilmente, sarà nella campagna elettorale.
Solitamente queste restrizioni vengono invocate e attuate sulla base di un argomento sbandierato da più parti: che sia, cioè, "contro natura" fare altrimenti. L'argomento presuppone che è dalla natura, da ciò che è "naturale", che dobbiamo trarre indicazioni su come agire; e la natura è pensata come avente un ordine e delle leggi proprie, che l'uomo deve rispettare, sia che queste leggi e questo ordine siano intesi come voluti da Dio (la posizione della chiesa cattolica), sia che siano assunti senza un necessario riferimento a entità trascendenti (la posizione di certi laici impegnati in nuove crociate).In questa accezione, il concetto di legge viene interpretato in termini finalistici e antropomorfici: la legge di natura è, cioè, come la legge civile, una prescrizione che ci indica cosa si deve fare e rimanda ad un legislatore (Dio appunto) che la pone. Come ogni legge, anche questa legge va dunque rispettata: l'ordine presente in natura impone di tutelare l'inizio "naturale" della vita (il concepimento o la capacità di vita autonoma, a seconda dei casi) così come il modo "naturale" di avere una gravidanza (oppure ancora l'unione affettiva "naturale" o la fine "naturale" della vita, e così via).
Questo argomento è tuttavia discutibile e lungi dal trovare una condivisione generale. Nella storia della cultura occidentale non c'è mai stato accordo sull'esistenza di leggi di natura, e nemmeno su cosa queste leggi ci comandino. Un accordo pare esserci, in realtà, sull'esistenza di un altro tipo di leggi di natura, quelle scientifiche. Ma sono leggi di carattere completamente diverso: sono non-antropomorfe, non rimandano a un legislatore e non sono prescrizioni che devono essere rispettate; sono piuttosto descrizioni generali che, anziché dirci cosa fare, spiegano e prevedono l'accadere dei fenomeni. Non sono leggi di carattere finalistico, ma deterministico (o tutt'al più probabilistico): l'ordine che si riscontra in natura è di questo tipo.
Un filosofo dell'Ottocento, John Stuart Mill ha forse meglio di tutti sottolineato la difficoltà di trarre indicazioni su cosa fare dall'ambiguo concetto di natura: "la dottrina che l'uomo dovrebbe seguire la natura - scrive Mill a p. 51 dell'edizione Feltrinelli dei Saggi sulla religione - , o, in altre parole, dovrebbe erigere a modello delle proprie azioni volontarie il corso spontaneo delle cose, è [...] irrazionale e immorale. Irrazionale perché tutte le azioni umane, quali che esse siano, consistono nell'alterare il corso spontaneo della natura, e tutte le azioni utili consistono nel migliorarlo. Immorale per il motivo che - essendo il corso dei fenomeni pieno di azioni le quali, quando vengono commesse dagli uomini, risultano degne del massimo aborrimento - chiunque tentasse di imitare nel proprio modo di agire il corso naturale delle cose, sarebbe universalmente considerato e riconosciuto come il più malvagio degli uomini". È l'uomo che pone dei fini alla natura, non la natura all'uomo.
Questi argomenti non sono filosoficamente conclusivi contro l'esistenza di un ordine finalistico della natura, né tanto meno contro l'esistenza di Dio (è difficile che un argomento filosofico lo sia): in ultima istanza si può sempre fare ricorso alla fede, a un piano diverso da quello razionale. Tuttavia anche se non conclusivi, hanno un grado di plausibilità tale da suggerire che sarebbe opportuna una maggiore cautela nel sostenere che certi comportamenti sono "contro natura".
A questa considerazione se ne deve aggiungere un'altra Pur senza entrare nella discussione delle posizioni di chi considera certe pratiche moralmente illecite o di chi le considera moralmente lecite, si deve ammettere che entrambe le posizioni hanno ragioni dotate di una certa plausibilità. Queste ragioni ci sono e sono largamente riconosciute: da una parte la tutela della vita di ogni essere vivente, dall'altra il rispetto della libertà di scelta della madre, la tutela graduale della vita, e così via. L'unione delle due considerazioni richiede una seconda cautela: quella di limitare all'ambito morale la condanna di chi la pensa diversamente, e non entrare nell'ambito giuridico: si biasimi pure chi non condivide il modo "naturale" di considerare l'inizio della vita o di avere una gravidanza (o anche, più in generale, di unirsi affettivamente o di decidere le modalità con cui terminare la propria vita), ma non gli si vieti giuridicamente di agire secondo il modo che ritiene più appropriato. Si riconosca, cioè, a ognuno la possibilità giuridica di decidere come comportarsi in questi ambiti, comunque lo si giudichi, e magari lo si aiuti anche con le informazioni e il sostegno necessari. È un principio semplice, di carattere liberale, e richiede leggi permissive; lo è la legge 194 sull'aborto, non lo è legge 40 sulla fecondazione assistita. È quasi banale constatare come il liberalismo venga predicato tanto ma praticato poco proprio là dove servirebbe di più.
* Docente di Bioetica Università di Pavia - Sinistra Democratica Prato

martedì 12 febbraio 2008

A Vaiano nasce la sinistra Arcobaleno

Vaiano. Nasce la versione vaianese di "Sinistra Arcobaleno", insegna federale che riunisce sotto lo stesso ombrello Rifondazione comunista, il Partito dei comunisti Italiani, i verdi e Sinistra Democratica (l'ex "Correntone" DS). In una riunione tenutasi un paio di giorni fa, in cui spiccavano il consigliere comunale Roberto Marcelli (Rc), Patrizia Mondella (Verdi), l'assessore comunale Giuseppe De Bartolis (pdci) e Andrea Monni (Sd), si è deciso di recepire la scelta fatta dagli organi nazionali. L'attività politica del nuovo soggetto - a base di questione morale, laicità, giustizia, lavoro, ambiente, lotta alla precarietà, servizi sociali, interventi per i giovani e per i nuovi modelli di sviluppo - si articolerà su due piani: a livello comunale <> così Andrea Monni, marito dell'Assessore all'Urbanistica del Comune sivia Sorri, anche lei fuoriuscita dai Ds al momento della nascita del PD ed oggi Indipendente di Sinistra nel gruppo misto del Consiglio Provinciale <>. Allo stesso tempo il tentativo sarà quello di "radicarsi sul territorio facendo risaltare gli aspetti locali della campagna elettorale nazionale" appuntamento prblematico sopratutto a livello organizzativo.
Da Il Tirreno del 12 febbraio Giacomo Magazzini

mercoledì 6 febbraio 2008

Laicità: non lasciamola sola

Argomento quotidiano, dibattuto, conteso, per essere eretto o demolito. Eppure, per sostenerlo adeguatamente, manca qualcosa, anzi secondo me manca molto. Non basta se resta solo, e da solo cade.
Furono per prime le coccarde tricolori francesi a portare a Roma l’idea di una possibile Repubblica laica. Ma, troppo avanzata per luogo e tempo, fu respinta dai conservatori e fallì. Il concetto della laicità non venne da solo. Fu introdotto assieme a tutto il complesso delle idee illuministiche e rivoluzionarie, si trovava dentro ad un contesto ideale, politico e sociale ben più ampio e corposo.
Ritornò alla ribalta con il Risorgimento italiano, assieme al liberalismo ottocentesco e alle ambizioni unificatrici di Cavour e dei Savoia. Anche in quel caso la famosa frase della “libera Chiesa in libero Stato” non si alimentava da sola: c’era un nuovo progetto di Stato e di rapporti con la religione.
Ci sono stati anche esempi di usi strumentali dell’argomento. Ritengo che almeno uno di questi, forse il più famoso, fu la Kulturkampf di Bismarck, offensiva lanciata contro il partito cattolico che si spense in poco tempo e fu tramutata in offensiva anti-socialista. Infatti serviva solo a togliere di mezzo i partiti di massa.
Lo spettro del comunismo che agitò l’Europa e poi il mondo conteneva anch’esso in sé l’elemento della laicità, spingendosi anche oltre nella sua denuncia dell’”oppio dei popoli”. Andò peggio in quei casi dove, in situazioni di assenza di garanzie e di diritti fondamentali, e in presenza di regimi totalitari, una certa pretesa laicità si tramutò in anticlericalismo e in offensiva politica anti-religiosa. In altri casi si è tramutata in anticlericalismo di maniera, scarsamente dotato di strumenti di analisi e di dialettica per poter sostenere un vero confronto.
Meno pesanti, ma ugualmente forti, furono i contenuti di laicità espressi nei movimenti e nelle idee di quella “Italia di minoranza” (per citare l’omonimo libro di Spadolini) che ha sempre trovato difficoltà ad emergere, stretta tra i due partiti-chiesa del secondo dopoguerra. Repubblicani e socialdemocratici anzitutto, hanno sempre dichiarato come loro elemento costitutivo la laicità. Ripresa poi in forma movimentista dai radicali, ai quali va il merito di averla sostenuta in questi ultimi 40 anni anche attraverso i referendum.
Fatti rilevanti, esempi citati qui come spunto per affrontare la questione attuale della laicità, attraverso alcune riflessioni, anche volutamente provocatorie.
Gli esempi fatti precedentemente possono essere utili: i tentativi compiuti sono stati condotti da forze ideali, sociali e persino militari di grande spessore. Vi furono successi e fallimenti, ma sempre sulla strada del processo di secolarizzazione della società. L’impulso servì per rimettere in discussione un potere concepito in senso totalitario e assoluto, per far cadere, per dirla con Gramsci, l’idea che la Chiesa fosse “premessa necessaria e universale di ogni modo di pensare e operare”. L’offensiva, illuminista prima, liberale e marxista poi, condusse il Vaticano ad una posizione inizialmente difensiva, che nella seconda metà dell’Ottocento si concretizzò con la perdita del potere temporale, e sul finire del secolo con la necessità di creare e/o potenziare le strutture di base e l’associazionismo cattolico, per recuperare potere politico. La seconda novità dunque, novità che ci siamo portati dietro fino ad oggi, fu quella della necessità di creare un proprio partito e un proprio sindacato per rappresentare gli interessi dei cattolici.
Questa fase difensiva, chiaramente intesa come difesa attiva di riorganizzazione, si è trasformata prima in controffensiva tattica e poi in vittoria strategica quando, a seconda dei momenti storici e delle elite dominanti, c’è stato l’appoggio ideologico e sostanziale da parte di attori politici che si facevano interpreti delle istanze cattoliche.
La rappresentanza politica del cattolicesimo si è frammentata dal 1992, è diffusa e trasversale. La diaspora è iniziata circa 16 anni fa, ma assistiamo spesso a tentativi di “ritorno a Sion”. Questa frammentazione simile ad un esilio, in parte spontaneo in parte forzato, costituisce elemento di vantaggio e di svantaggio al tempo stesso. Svantaggio se lo riferiamo alla costruzione di un’agenda politica unitaria cattolica, alla maniera del Partito Popolare di Sturzo o della Democrazia Cristiana di De Gasperi. Vantaggio se consideriamo il riposizionamento diffuso dei cattolici negli schieramenti, quasi a riproporre la parabola del seminatore (Mt 13,18-23; Mc 4,13-20; Lc 8,11-15), o la ben più cruciale diatriba tra Giacomo e Paolo nella Gerusalemme della metà del I sec. d.C.: schematizzando, il primo sosteneva la difesa di un’ortodossia giudaico-cristiana autoconservativa, limitata al territorio di Israele; il secondo intuì la portata universale del messaggio cristiano e pensò di diffonderlo nel mondo.
Appoggiati dal Vaticano, e in assenza di “avversari” feroci e temibili, liquidate le esperienze socialiste e comuniste, l’attività culturale e politica cattolica è ancor meglio facilitata nel suo svolgimento.
L’impegno quotidiano pare riprendere i filoni conduttori (riveduti e corretti) del Sillabo (1864!), per sostenere le lotte che restano da portare avanti, secondo l’elenco fatto allora.
Resta ancora in piedi un capitalismo che mostra i suoi lati più negativi: lusso, sprechi e vanità da contestare alla maniera dei profeti (per esempio Ez 7,20; Is 1,22-23 e 41,21-29; Dan 3,17; Os 13,2; Mi 5,13), in favore della vecchia idea dettata dalla dottrina sociale della Chiesa (che in passato si è espressa con il corporativismo, anche nell’ era fascista): un sistema sociale ed economico armonico, interclassista, dove prevale la ricomposizione del conflitto sociale e il ricorso alla spesa pubblica come strumento assistenziale di caritas cristiana. Caritas anche con la “C” maiuscola, come possiamo vedere nella nostra città, che controlla il sistema dei servizi sociali.
Sul piano culturale si osserva la pressione in sfavore della scuola pubblica, della libertà e della laicità dell’insegnamento. Non restano certamente esenti dalla battaglia culturale gli ambienti esterni alla scuola. Al di fuori della scuola (ma anche al suo interno?) esiste ed è operante una massiccia operazione di aggressione e rilettura della storia antica e di quella più recente. Basti pensare alla ricerca spasmodica e martellante delle ritrovate “radici giudaico-cristiane” dell’Europa, o alla rimessa in discussione dell’antifascismo, o alla venerazione di paladini della cristianità come i prelati franchisti in Spagna.
Sul piano etico si dice ancora no alla libertà di coscienza, di scelte di vita, di orientamento sessuale, di ricerca scientifica. L’obiettivo è rimettere in discussione l’impianto di diritti e garanzie ottenute negli ultimi 40 anni, sempre migliorabili, per smantellare le leggi sull’aborto, il divorzio, e la parità uomo-donna.
Non tutti i cattolici sono così, si potrebbe obiettare. Ed è vero. Ma non appena si tratta di affrontare questi argomenti, non appena il pontefice tuona dal balcone di S. Pietro, ecco che i membri della diaspora riaffiorano dalle nebbie, si ricompattano, si riconoscono facenti parte di un unica Sacra Famiglia, e inizia il viavai di politici oltre Tevere, a rendere omaggio e a chiedere scusa al papa.
C’è o ci sarà una Sion per essi? Le grandi manovre al centro, politiche e culturali, sono solo tattica e diversivi oppure esiste una strategia comune, o meglio dire una tendenza che socialmente e storicamente si ripropone come consolidata?
Nel chiedersi se esiste un programma cattolico, si deve rispondere ora che ci sono tratti distintivi e caratteristici di una identità politica che per adesso non si è ancora ritrovata....ma dopo la morte c’è una resurrezione, e forse in molti sono ad aspettare una nuova pesca fruttuosa nel lago di Tiberiade (Gv 21,1-23).
Concluderei con queste argomentazioni: anzitutto, se vogliamo che la laicità abbia una possibilità di vita e di vittoria in questo confronto-scontro culturale, allora la dobbiamo legare a qualcosa di più grande: un nuovo progetto sociale e culturale entro cui inserire anche questo tema. Verrebbe quasi da dire un nuovo “pensiero forte” che contenga in sé anche la laicità, perché da sola contro il “pensiero forte” clericale ha poca speranza. In secondo luogo, la laicità dello Stato non riguarda esclusivamente il terreno delle idee e dei valori, ma deve fare i conti con le condizioni sociali e culturali (materiali, si sarebbe detto una volta) entro cui viene dichiarata e sostenuta. Un principio, un valore o un’idea hanno la possibilità di affermarsi solo se: 1- sono contenuti in un progetto più ampio di rinnovamento sociale su vasta scala; 2- vi sono gruppi sociali che lo sostengono e che si confrontano con altri che lo avversano; 3- si creano le condizioni per il raggiungimento dell’obiettivo. Si tratta oggi di conoscere il terreno di confronto e gli “avversari”, per fare una valutazione delle capacità di elaborazione e di risposta. Risposta e progetto complessivo che oggi mancano. Al lavoro, allora, perché siamo in ritardo.


Scritto da Riccardo Cammelli - SD Prato

martedì 5 febbraio 2008

PARTECIPATE






PRATO 8 FEBBRAIO 2008 ORE 21

SALA DELLA CIRCOSCRIZIONE CENTRO
VIA DELL’ACCADEMIA
(clicca sopra per vedere il luogo)


invita tutti a partecipare all’iniziativa

“PER TUTELARE LA LIBERTÀ DI SCELTA DELLE DONNE
DIFENDIAMO LA LEGGE 194/78!”

Parliamo insieme di libertà, di laicità, dei diritti fondamentali di ogni persona. Difendiamo la legge 194/78 che ha permesso di sconfiggere la piaga degli aborti clandestini e di ridurre in modo consistente le interruzioni di gravidanza tutelando la salute delle donne che possono così scegliere la maternità vivendola con gioia e consapevolezza.

Coordina Michele Mezzacappa


Ne discutono:

MONICA TORALDO DI FRANCIA COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA
CATERINA FERRARI UNIVERSITA’ DI FIRENZE
IMMA BARBAROSSA DIRIGENTE NAZ. RIFONDAZIONE COMUNISTA
MARISA NICCHI DEPUTATO SINISTRA DEMOCRATICA

Seguirà dibattito

lunedì 4 febbraio 2008

Dal Tirreno del 2 febbraio 2008