mercoledì 18 marzo 2009

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venerdì 6 marzo 2009

Provare a ripartire, cambiare sistema


Sembra ormai un bollettino di guerra. Ogni giorno notizie di licenziamenti, cassa integrazione, chiusure.


Si è diffusa la consapevolezza che stavolta la crisi, questa crisi, non è semplicemente un fase negativa, ciclica e congiunturale. 
E' invece una crisi che mette in discussione il modo stesso in cui è avvenuto lo sviluppo economico negli ultimi decenni.

Per questo, ma non saremmo dovuti arrivare a tanto, è il momento di cambiare.
Di cambiare politica economica e modello di sviluppo, con politiche di redistribuzione del reddito e delle risorse, capaci di invertire la rotta.

Per farlo, serve un intervento pubblico (statale e locale) che non si a limitato alla leva fiscale ed alle sue politiche, ed un nuovo patto sociale fra gli attori in campo.

Qualche attento osservatore fa presente che proprio nei problemi di distribuzione del reddito, si nasconde una delle cause profonde dell'attuale situazione.

Anche i meri dati numerici e statistici infatti, dicono che, a partire dagli anni 90 e con un'accelerazione ulteriore nel nuovo millennio si è realizzato un imponente spostamento (svariati punti di PIL) della distribuzione del reddito dal lavoro dipendente e favore del profitto e della rendita speculativa.

Si è assistito insomma al  fatto che, i benefici dello sviluppo di questi ultimi decenni siano andati prevalentemente a gruppi sociali ristretti e ben definiti. In Italia, col livello abnorme dell'evasione fiscale, questo fenomeno ha assunto dimensioni ancora maggiori.

Il discorso si farebbe lungo e complesso, ma è il risultato di una politica economica e fiscale, che in pratica ci ha detto che la questione della redistribuzione del reddito fosse separata e, successiva, rispetto alla crescita economica.

Cioè, da una parte, massimo sviluppo (e quindi deregolamentazione pressante e rapida del mercato del lavoro), dall'altra, al momento del massimo profitto (poi) disporre delle risorse necessarie per garantire solidarietà e coesione sociale.

Patto sociale fra sviluppo e sicurezza.

Oggi tutto questo è messo in discussione, è minato alla base. 

Per questo dobbiamo ripensare i meccanismi di creazione dello sviluppo e ripensare alla distribuzione come parte essenziale dello sviluppo, nel lungo periodo.

La sinistra deve farsi carico di delineare un processo di sostegno della quota di lavoro, che sia compatibile, da una parte con la competitività ed il mercato, ma lo deve fare nell'ottica del lungo periodo.
  E quindi un sostegno ai redditi medi e bassi riqualificando l'offerta.

Quindi una forte e maggiore presenza dello Stato (oggi richiesta anche da chi ha causato questo disastro), ma una presenza diversa da quella di semplice garante del funzionamento del mercato.

Lo Stato, invece, come garante di un nuovo patto sociale tra parti che hanno, vista la politica degli ultimi decenni, forza contrattuale differente. Uno stato quindi, non equidistante, recuperando una parte importante della tradizione socialdemocratica e liberale.

Bisogna cambiare nettamente direzione ad esempio, rispetto anche all'ultimo accordo stipulato.
Non più redistribuzione solo attraverso la fiscalità perché strumento poco efficace, ma una crescita del reddito da lavoro, necessaria per la stessa sopravvivenza del sistema nel lungo periodo, e contestuale riorganizzazione dell'apparato produttivo, perchè un cambio di direzione di questo tipo è costoso per le imprese già deboli di questa fase.

Insomma, cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno, cogliamo appieno l'occasione per cambiare, per mettere lo sviluppo su binari diversi per garantire un nuovo patto sociale.

Il fallimento porterà solo una società più diseguale, frammentata, ingiusta.

A presto.

Andrea Monni -  SD Prato